“Quando nella piena luce del giorno io apro gli occhi, non è in mio potere di scegliere se vedrò o no, o di determinare quali particolari oggetti si presenteranno alla mia vista; e così per l'udito e per gli altri sensi, le idee impresse su di essi non sono creature della mia volontà. Vi è perciò qualche altra Volontà o Spirito che le produce”.
Trattato sui principi della conoscenza umana di Georges Berkeley (1710)
George Berkeley (1685 - 1753), insieme a John Locke e a David Hume fu uno dei padri dell’empirismo inglese. Famoso come teorico dell’immaterialismo e per la massima “esse est percepi”, Berkeley riteneva che oggetto e percezione dell’oggetto coincidessero o, detto altrimenti, che la realtà si riducesse all’idea che di essa ne abbiamo come individui. Lungi però dall’accettare che la realtà fosse un processo storicamente e socialmente determinato, egli riteneva che l’attività percettiva fosse indotta in noi da Dio, soprattutto per quel che riguarda le cose naturali sulle quali lo spirito umano non ha nessun potere.
Attraverso questa tesi Berkeley confermava insieme l’esistenza di Dio e l’utilità della scienza, cui spettava il fondamentale compito di rivelare la "grammatica dei segni" divina, abiurando però a qualsiasi deriva materialista. Non è un caso allora che del suo soggiorno sull’isola d’Ischia, tra giugno e settembre del 1717, Berkeley annotò soprattutto le bellezze naturali, perché tale precedenza descrittiva era assolutamente coerente con l’impostazione filosofica secondo cui la natura è pensiero, azione e volontà di Dio.
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